Facebook è il luogo frequentato da milioni di persone di ogni genere ed età. Spesso si creano situazioni incresciose che possono sfociare in insulti e offese anche gravi. Qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno. E’ tenuto al risarcimento del danno colui che lede la reputazione, l’onore o il decoro di una persona mediante l’invio di un messaggio per il tramite del social network “Facebook”.
Lo ha deciso il Tribunale di Monza, Sezione Quarta Civile, con la sentenza 2 marzo 2010, che è stata la prima in Italia, a trattare di uno dei siti di condivisione più popolari al mondo. In particolare la recente sentenza ha visto il Tribunale civile di Monza condannare un soggetto al pagamento di Euro 15.000,00 (oltre spese legali) per aver leso la reputazione, l’onore e il decoro di una persona mediante l’invio di un messaggio tramite il social network “Facebook”.
Tribunale di Monza
Sezione IV Civile
Sentenza 2 marzo 2010, n. 770
Repubblica ItalianaIn nome del Popolo Italiano
TRIBUNALE DI MONZA
Sezione IV Civile
Il Tribunale di Monza, Sezione Quarta Civile, in persona del magistrato dott. PIERO CALABRO’
in funzione di Giudice Unico
ha pronunziato la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta al RG n.4456/09, promossa con atto di citazione notificato in data 12.3.2009
da
F. B., rappresentata e difesa dagli avvocati M.Costantin e R.Mandelli, presso lo studio dei quali in Meda largo Europa n.7 ha eletto domicilio.....………...........................................................PARTE ATTRICE
contro
T. P., rappresentato e difeso dagli avvocati S.Paganessi, G.Violini e C.Dehò, presso lo studio della quale in Monza via Magellano n.38 ha eletto domicilio.............................................
PARTE CONVENUTA
Oggetto della causa : risarcimento danni da fatto illecito
All’udienza del 22.12.2009 i procuratori delle parti precisavano le
CONCLUSIONI
come da n.3 fogli vistati dal G.U. ed allegati al processo verbale
Il caso.
Tizia, portatrice di una particolare tipologia di strabismo, definita “esotropia congenita”, conosce Caio, tramite “Facebook”, con il quale incomincia una vera e propria relazione sentimentale. Il ragazzo, evidentemente assillato dalle continue e pressanti attenzioni della donna, decide di inviare a quest’ultima, sempre mediante l’utilizzo del social network in questione, un messaggio, ben visibile da altri utenti, con il quale, oltre ad intimarle di cessare ogni rapporto con il medesimo, non solo infieriva sull’aspetto fisico della giovane, ma rendeva palesi determinati gusti sessuali di quest’ultima, ledendo, in tal modo, la reputazione, l’onore ed il decoro della ragazza. Per tale motivo, Caia decide di adire le vie legali, chiedendo al magistrato il risarcimento del danno morale soggettivo o, comunque, del danno non patrimoniale, conseguente alla lesione subita.
Facebook consente agli utenti di fruire di alcuni servizi tra i quali l’invio e la ricezione di messaggi, fino alla possibilità di scrivere sulla bacheca di altri amici, decidendo di impostare diversi livelli di condivisione di tali informazioni. E’ evidente di come gli utenti del social network siano consapevoli del fatto che altre persone possano prendere visione delle informazioni scambiate in rete, anche indipendentemente dal loro consenso. E’ quello che accade mediante lo strumento del “tagging”, il quale permette al soggetto “taggato” di copiare fotografie, video e messaggi pubblicati all’interno delle bacheche o profili altrui.
Come rilevato dal Tribunale di Monza, sebbene il sito offra ai soggetti iscritti grandi possibilità di relazionarsi con gli altri, molti sono i rischi delle “potenziali esondazioni dei contenuti che vi si inseriscono”, contenuti il più delle volte sottratti alla disponibilità dell’autore per effetto della procedura appena accennata. L’istituto del danno non patrimoniale è, probabilmente, quello che più di ogni altro, negli ultimi anni ha visto un progressivo innalzamento dell’attenzione da parte della giurisprudenza, in particolare di legittimità.
Sul punto, il Tribunale di Monza, richiamando la recente giurisprudenza di legittimità, precisa come nell’ambito della categoria generale del danno non patrimoniale, la formula danno morale non individua una autonoma sottocategoria di danno, ma descrive – tra i vari pregiudizi non patrimoniali – un tipo di pregiudizio, costituito dalla sofferenza soggettiva cagionata dal reato in sé considerata: sofferenza la cui intensità e durata nel tempo non assumono rilevanza ai fini della esistenza del danno, ma solo della quantificazione del risarcimento” (Cass. Sez. Un., sentenza 11 novembre 2008, n. 26972 e n. 26975).
Secondo il giudice territoriale, nella specie deve essere affermata la risarcibilità del danno morale soggettivo, quest’ultimo inteso come “transeunte turbamento dello stato d’animo della vittima” del fatto illecito, ovvero come insieme delle sofferenze inflitte alla danneggiata dall’evento dannoso, del tutto indipendentemente dalla rilevanza penalistica del fatto. Rilevanza che, secondo il giudice, si potrebbe ravvisare nel fatto sussumibile nell’ambito della previsione normativa di cui all’art. 594 (ingiuria) e, soprattutto all’art. 595 (diffamazione) c.p. «alla luce del cennato carattere pubblico del contesto che ebbe ad ospitare il messaggio de quo, della sua conoscenza da parte di più persone e della possibile sua incontrollata diffusione a seguito di tagging». A questa pagina trovate la sentenza completa. Fonte: Altalex
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